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Arte all’Erta

ARTE ALL’ERTA

Timia Edizioni

2021

pag 256

www.timiaedizioni.it

PREFAZIONE

di Marcello Sestito

Se il mondo che ci circonda potesse, in un sol colpo, rendersi manifesto alla coscienza, esso di sicuro assumerebbe il volto di un’opera d’arte.

Nemmeno una formula matematica o un paradosso segnico potrebbero fornire l’istantanea di ciò che l’arte offre ponen­dosi come la cosa dell’uomo per eccellenza, quella stessa ineguagliata dal creatore.

Per far rimanere desto questo accorgimento o se vogliamo, per far sì che non ci si dimentichi, l’operare nell’arte di Ste­fania Carrozzini si pone come un gesto gratuito per l’uma­nità che stenta all’ascolto.

Almeno tre attitudini animano lo spirito della Carrozzini:

1 – un’impalpabile necessità del confronto con temi apparen­temente secondari, solo se visti da una angolazione errata, che la fa muovere nel tempo e nello spazio alla ricerca di ar­tisti e relativi opere, come se in questa giostra di eventi e di avvenimenti lei si sentisse a proprio agio. Nella convinzione che l’opera non si scongiunge dall’artista che l’ha prodotta.

2 – l’attitudine verso il diverso e il poco omologabile che la porta in territori inesplorati, ma che si destano alla co­scienza con l’accensione dello sguardo.

Come dire che nel suo lungo e appassionato lavoro da cri­tica operativa, i temi messi sul tappeto diventano quasi

delle tesi che sondano la socialità, spesso le capacità ag­gregative dei gruppi convogliati nello stesso cielo.

3 – esploratrice di universi paralleli, si muove con disinvol­tura tra l’Europa e l’America assorbendo e dissipando, con­vogliando e trattenendo, dialogando eppure mantenendo la fermezza delle parole che descriveranno un’opera, un og­getto, una figura. Portatrice sana del virus dell’arte e per­tanto ambasciatrice nei due continenti.

Ma se tutto ciò non bastasse a descrivere il coraggio del­l’autrice di questo testo recente, che tenta di dare conto di un lungo processo di avvicendamenti sull’arte e dei suoi esiti contemporanei, c’è da dire che Stefania lega, alle attitudini sopra elencate, altrettanti metodi di lavoro che ne caratte­rizzano il percorso.

Spaventata eppure temeraria, la nostra si inoltra nell’ignoto dell’arte come una cercatrice di perle riemergendo sempre con fruttuosi risultati. I metodi preannunciati sono anch’essi contenuti in una trilogia:

1 – Stefania non si accontenta di descrivere l’opera degli ar­tisti che presenta, ne vuole cogliere i tratti intimisti, pertanto una sorta di corteggiamento emotivo lega la critica all’arti­sta, come se solo da questo dialogo potesse scaturire una scintilla conoscitiva. Un dialogo intenso, che prefigura un reale avvicinamento all’opera: un percorso iniziatico non privo di ostacoli.

2 – Passionaria come poche, investe tutta la sua femminilità nell’impegno quotidiano, mentre una sorta di sana ingenuità la trascina in territori incerti e di cui lentamente ne cerca una struttura, un disegno, una organicità capace di rapportarsi allo stato dell’arte. Persino l’impegno politico, ne sono certo, tenta di tradurlo in conoscenza da diffondere.

3 – Le opere che presenta, hanno spesso un comune deno­minatore, non solo legato al tema proposto, bensì – molto più sottilmente, nel loro complesso – vogliono trasmettere un messaggio unitario, coinvolgente, pur sapendo che nel­l’arte la somma non fa il tutto di una singola opera e lei te­nacemente insiste nel rendere democratico e oggettivabile un percorso culturale.

Il rischio da fugare è simmetrico. La sommatoria di più sog­getti alla manifestazione artistica, se da un lato, come detto, assume il valore sociale del coinvolgimento, dall’altro ri­schia di svilire quell’unicità dell’opera che nei casi migliori si distingue nella folla come un diamante nella roccia.

Forse che il contemporaneo o l’oggi rifiutano nella omolo­gazione tentativi di unicità? Non lo crediamo. Crediamo che il distinguo sia più sottile, implichi ulteriore conoscenza, la sola storia o storia dell’arte non basta più. L’eterotopia del mondo, come aveva colto perfettamente Foucault, esige l’immersione totale nei variegati linguaggi e nelle molteplici tendenze, pena una sorta di dilettantismo culturale di cui non se ne sente la necessità.

La lunga permanenza nella rivista D’Ars, guidata dall’indi­menticabile Pierre Restany, che ci ha visti coinvolti nella re­dazione per moltissimo tempo, ha dato i suoi frutti; quella che allora era una giovane critica d’arte emergente è dive­nuta oggi una figura necessaria per mantenere l’Arte al­l’Erta, soprattutto in un panorama sempre più mediatizzato ove la verità vale quanto la menzogna, dove l’apparire conta più dell’essere, dove se si muore è come se non si morisse per davvero.

 Milano, 5 febbraio 2020

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