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Occuparsi dello sguardo

Onishi Gallery New York,

14 – 27 giugno 2018

Artisti: Augusta Bariona, Marije Bijl, Rosaspina Buscarino, Judith Cordeaux, Gabriele Corni. Paolo Mazzanti, Lucrezia Roda. Paolo Rossetto

Occuparsi dello sguardo

“Il guardare è una cosa così strana e meravigliosa, della quale sappiamo ancora tanto poco; guardando siamo interamente rivolti verso l’esterno, ma proprio quando lo siamo di più sembrano accadere in noi cose che hanno atteso con passione di non essere osservate”

Rainer Maria Rilke. 1907, “ Lettere alla moglie Clara”

Questa mostra indaga il tema dello sguardo non solo inteso come rappresentazione ma si estende alle diverse declinazioni dell’interiorità e, come un rimando di specchi, conduce allo sguardo dello spettatore e al suo potere interpretativo dell’opera.

Ed è l’opera a divenire un campo emozionale, dove convergono differenti energie, una piattaforma significativa del reale fino alla dimensione spirituale. Da una forma nominale lo sguardo è qui inteso oltre la sua narrazione e rappresentazione fino alla forma simbolica. L’occhio vede in funzione della relazione, getta un ponte sul mondo rispecchia l’anima, racconta, implora, testimonia, seduce. Circoscrive spazi mediando lo scambio tra realtà e immaginazione. E’ la vita stessa nella forma che la rende più rilevante: la comunicazione.

Il nostro tempo richiede un’immersione più profonda e integrata rispetto alle pratiche artistiche tradizionali. La mancanza di attenzione e la sbadatezza della contemporaneità sono soppiantate da un bisogno di essere più che mai connessi alla realtà che ci circonda.

La velocità alla quale siamo abituati ci fa assistere a un cambiamento di tendenza per come la fruizione dell’opera avviene. In un tempo in cui l’occhio fa sempre più fatica a posarsi, distolto dal momento presente e proiettato verso un altrove, la contemplazione diviene cosa rara di fronte alle innumerevoli richieste del reale. “La malattia del moderno” diceva Nietzsche nei “frammenti di Umano tropo umano” è un eccesso di esperienza, e il rischio è di finire come Narciso intrappolati nella propria immagine riflessa senza più vedere altro da sé. Forse solo l’arte, in tutte le sue forme può anticipare i cambiamenti, può aprire gli occhi, scuotere le menti intorbidite, comunicare con la coscienza collettiva. Le geometrie della ragione e le geografie dell’emozione ci vengono in soccorso, spalancano un mondo nell’attimo in cui il nostro sguardo si posa sull’opera e incontra quello dell’autore.

All’inizio di ogni processo creativo vi è il caos, solo in un secondo tempo prendono corpo le trame e gli oggetti dell’immaginario, le atmosfere e gli ambienti. Questo processo nell’arte è in una tensione costante, è un gioco sottile di equilibri. Per mantenere il suo valore esistenziale occorre distogliere lo sguardo e tornare lì a rivedere il mondo con un altro occhio, depurato da inutili sovrastrutture, come fosse la prima volta che si guarda alle cose, senza paura di cadere nel vuoto, nel nulla. E’ una sorta di comunicazione solare che interagisce con l’auto percezione e va a toccare le zone della mente e del cuore degli esseri umani liberi che desiderano evolversi.

E vero che il mondo è ciò che noi vediamo ed è altresì vero che dobbiamo imparare a vederlo e a comportarci come se non ne sapessimo nulla, come se avessimo tutto da imparare. L’arte è la possibilità di stabilire questo contatto aurorale con le cose, uno slancio poetico sempre teso verso un’altra dimensione. E’ un salto nella profondità dell’esistenza, un mondo alla deriva dello sguardo, quella linea che traccia i confini dell’abbraccio tra visibile e invisibile.

Immagini fisiche e mentali sono il risultato del desiderio di fermare ciò che è mutevole, transitorio, contingente. L’osservatore è a sua volta osservato, il suo occhio è assorbito da spazi e materia colti nella loro metamorfosi. Gesti, posture e relazioni abitano un tempo sospeso come se gli accadimenti, le situazioni quotidiane fossero utili a ricucire arte e vita, tra lo spazio dell’opera e lo spazio del reale, una sfida e una conquista nell’incessante fluire del tempo.

Stefania Carrozzini

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