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The Portable Show

December 1 – 15, 2008

Titolo:
THE PORTABLE SHOW
a cura di STEFANIA CARROZZINI
Luogo: NEW YORK “BROADWAY GALLERY”473 Broadway 10013 NEW YORK, NEW YORK
Dal 1 al 15 dicembre 2008
Inaugurazione: 4 dicembre, 2008
Patrocinio: Fondazione Oscar Signorini Onlus
Produzione e organizzazione:
I AM. INTERNATIONAL ART MEDIA Milano – New York City – Pechino
Artisti:
Natalia Berselli, Alessandra Cocchi, Adriana Collovati, MarcelloDiotallevi, Anna Ghisleni, Live Art, Silva Nironi, Annalisa Picchioni,Paola Scialpi, Karl Stengel

L’arte viaggia nel tempo e nello spazio della creazione.

L’arte viaggia e i suoi vettori sono fisici e mentali. Si espande sulla rete, si de-materializza, ma nello stesso tempo non abbandona il corpo e s’incarna in tutte le forme del vivente, mantiene un involucro, una forma che si può percepire nella reale dimensione spazio temporale. Tutto è in costante movimento, cose, idee, persone. Lasciano tracce d’energie nello spazio. Il tempo, nel gioco della creazione, li unisce in un unico disegno.

L’arte digitale ha messo in crisi l’aura tradizionale dell’opera d’arte e la sua immanenza fisica e le categorie percettive a cui siamo stati abituati. Ma una domanda rimane comunque da farsi: perché gli artisti continuano a desiderare l’oggetto sensibile, la materia, perché insistono nel lavorare su tele, su marmi, su carta, sull’ambiente: perché non rifugiarsi tutti sul virtuale, perché non sposare totalmente la causa dell’immateriale? La dimensione temporale in cui siamo immersi c’impone dei limiti, la libertà di movimento anche. Che l’idea si debba per forza di cose incarnare nella materia cercando il corpo a lei più adatto per manifestarsi nel mondo fisico? Per non trovarsi naufraghi in quest’oceano d’immagini occorre destreggiarsi ed attrezzarsi al meglio. Un po’ come avviene nel film Cast away in cui il protagonista, impersonato da Tom Hanks, Zemeckis, di professione spedizioniere, esperto negli spostamenti su territorio nazionale e globale, cerca di dare un senso alla vita e di resistere al vuoto che lo circonda. Per il naufrago Zemeckis la sopravvivenza dei simboli è più importante di quella materiale, più urgente del mangiare, del dormire e per questo non si costruisce una casa, non dà vita ad un secondo universo che gli ricordi la sua vita normale. Niente di tutto questo. Il suo feticcio, la security blanket sull’isola deserta è un pallone su cui ha disegnato col sangue un volto di donna. E’ quest’oggetto che lo aiuta a non morire. Forse il destino e il senso dell’arte è proprio questo: nutrire di simboli il corpo dell’immaginario, stabilendo un continuo rapporto affettivo con il reale. E’ un tentativo di guarire, un bisogno di riscatto dalla solitudine ontologica interna al soggetto, quella che comunque ci portiamo dentro dalla nascita.

L’inondazione tecnologica a cui siamo sottoposti non ha fatto sparire il nostro desiderio di stabilire un rapporto concreto con l’oggetto. Anzi lo ha investito ancora di più d’aspettative, di rimandi simbolici, sia che si parli di dimensione estetica che costruttiva delle opere. Al di là dei mezzi con cui si esprime il nostro bisogno di dare voce e corpo all’immaginario, rimane viva la volontà dell’essere umano di testimoniare la potenza del pensiero e ciò che muove la legge dell’Universo e il processo della creazione.

Stefania Carrozzini

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